Il capitolo si propone di contribuire criticamente al dibattito sul lascito scientifico e culturale di Ulrich Beck prospettando una riflessione teorica sulla radicalizzazione del concetto di società del rischio (Beck, 2000) e sulla sua possibile evoluzione in società a rischio zero, caratterizzata 1) da una profonda avversione a qualsiasi tipo di situazione potenzialmente rischiosa; 2) dominata dall’angoscia per tutto ciò che appare incerto e quindi potenzialmente dannoso 3); contraddistinta da un’incessante domanda di azioni politiche volte ad evitare, scansare, ridurre o mitigare qualsiasi tipo di rischio, reale o immaginario e che 4) appare in grado di influenzare anche la sfera più intima delle scelte individuali, fino a trasformarci nei risk managers di noi stessi (Scott, 2000 ; Power, 2004 ); Sofsky, 2005) . La profondità di questa trasformazione culturale, che si manifesta anche nella crescente tendenza a utilizzare il discorso sul rischio per giustificare comportamenti individuali e scelte politiche riguardanti temi non immediatamente riconducibili all’ambiente o alla salute (ad esempio sull’immigrazione, sull’adozione di nuove tecnologie o sullo stesso ruolo dello Stato come dispensatore di sicurezza) comporta alcuni effetti paradossali. L’analisi di questi processi appare più che mai necessaria nel momento in cui la legittima aspirazione individuale alla sicurezza può trasformarsi nell’irrealistica distopia della società a rischio zero, mettendo in questione il godimento di beni comuni (come la salute, l’accesso alle fonti energetiche, i risultati della ricerca scientifica e tecnologica), ma anche diritti solo apparentemente meno legati al tema del rischio (ad esempio il diritto ad un’istruzione aperta, laica e pluralista, a non essere discriminati sulla base della propria appartenenza etnica o religiosa o a difendersi in un processo) . Una parte della relazione verrà dedicata alle modalità con cui i media tradizionali e digitali trattano i temi legati al rischio, giocando un ruolo centrale nella costruzione di rappresentazioni distopiche del futuro e nella crescente legittimazione di conoscenze di natura pseudoscientifica. Il crescente riferimento da parte di questi ultimi al concetto di rischio (sia in termini qualitativi che quantitativi) fa di quest’ultimo una vera e propria categoria ipasse partout in grado di unificare qualsiasi fenomeno apparentemente legato all’incertezza, dai tumori dovuti all’uso dei cellulari sino alla pretesa inclinazione di alcune minoranze a delinquere (Cerase, 2013, idem, 2014). I movimenti ambientalisti nel tempo sono diventati particolarmente abili nel dare visibilità alle proprie issues, attraverso la creazione di eventi ad elevata notiziabilità, che implicano quasi inevitabilmente la denuncia o la scoperta di rischi invisibili o nascosti (Hughes, Kitzinger e Murdock: 2006: 255 - 256). Tuttavia, in uno scenario sociale complessivamente dominato dall’individualizzazione delle scelte in materia di rischio - che Beck aveva lucidamente descritto e che oggi sembra essersi complessivamente radicalizzato - gli eccessi di sovranità cognitiva degli individui rispetto a rischi appaiono capaci di dar luogo ad un insieme di conseguenze socialmente problematiche. Non mancano infatti gli esempi di La prima è che senza dubbio, si sono radicalizzati i fenomeni di politicizzazione del rischio, che sempre più spesso danno luogo a conflitti sempre più rilevanti sia a livello micro che macro sociale . La seconda, che ne è la diretta conseguenza, è il fatto che gruppi minoritari e non legittimati democraticamente, anche in mancanza di qualsiasi evidenza “scientifica” che giustifichi la pretesa pericolosità di una possibile fonte di rischio e in forza di una interpretazione estensiva (ed ambigua) del principio di precauzione, possano intervenire direttamente nei processi politici, bypassando la mediazione democratica e alimentando (anche) fenomeni di discriminazione e di marginalizzazione di gruppi individuati come “a rischio”. La terza, più generale, è che le diverse interpretazioni dei rischi possano tradursi in un aumento generalizzato della conflittualità tra movimenti sociali, rappresentanze istituzionali, magistratura ed esponenti del mondo scientifico, talvolta con la conseguenza di legittimare istanze e rivendicazioni di natura pseudoscientifica o anti-scientifica.
Dalla società del rischio alla società a rischio zero. La paradossale radicalizzazione di un processo / Cerase, Andrea. - (2016), pp. 37-48.
Dalla società del rischio alla società a rischio zero. La paradossale radicalizzazione di un processo
Andrea Cerase
2016
Abstract
Il capitolo si propone di contribuire criticamente al dibattito sul lascito scientifico e culturale di Ulrich Beck prospettando una riflessione teorica sulla radicalizzazione del concetto di società del rischio (Beck, 2000) e sulla sua possibile evoluzione in società a rischio zero, caratterizzata 1) da una profonda avversione a qualsiasi tipo di situazione potenzialmente rischiosa; 2) dominata dall’angoscia per tutto ciò che appare incerto e quindi potenzialmente dannoso 3); contraddistinta da un’incessante domanda di azioni politiche volte ad evitare, scansare, ridurre o mitigare qualsiasi tipo di rischio, reale o immaginario e che 4) appare in grado di influenzare anche la sfera più intima delle scelte individuali, fino a trasformarci nei risk managers di noi stessi (Scott, 2000 ; Power, 2004 ); Sofsky, 2005) . La profondità di questa trasformazione culturale, che si manifesta anche nella crescente tendenza a utilizzare il discorso sul rischio per giustificare comportamenti individuali e scelte politiche riguardanti temi non immediatamente riconducibili all’ambiente o alla salute (ad esempio sull’immigrazione, sull’adozione di nuove tecnologie o sullo stesso ruolo dello Stato come dispensatore di sicurezza) comporta alcuni effetti paradossali. L’analisi di questi processi appare più che mai necessaria nel momento in cui la legittima aspirazione individuale alla sicurezza può trasformarsi nell’irrealistica distopia della società a rischio zero, mettendo in questione il godimento di beni comuni (come la salute, l’accesso alle fonti energetiche, i risultati della ricerca scientifica e tecnologica), ma anche diritti solo apparentemente meno legati al tema del rischio (ad esempio il diritto ad un’istruzione aperta, laica e pluralista, a non essere discriminati sulla base della propria appartenenza etnica o religiosa o a difendersi in un processo) . Una parte della relazione verrà dedicata alle modalità con cui i media tradizionali e digitali trattano i temi legati al rischio, giocando un ruolo centrale nella costruzione di rappresentazioni distopiche del futuro e nella crescente legittimazione di conoscenze di natura pseudoscientifica. Il crescente riferimento da parte di questi ultimi al concetto di rischio (sia in termini qualitativi che quantitativi) fa di quest’ultimo una vera e propria categoria ipasse partout in grado di unificare qualsiasi fenomeno apparentemente legato all’incertezza, dai tumori dovuti all’uso dei cellulari sino alla pretesa inclinazione di alcune minoranze a delinquere (Cerase, 2013, idem, 2014). I movimenti ambientalisti nel tempo sono diventati particolarmente abili nel dare visibilità alle proprie issues, attraverso la creazione di eventi ad elevata notiziabilità, che implicano quasi inevitabilmente la denuncia o la scoperta di rischi invisibili o nascosti (Hughes, Kitzinger e Murdock: 2006: 255 - 256). Tuttavia, in uno scenario sociale complessivamente dominato dall’individualizzazione delle scelte in materia di rischio - che Beck aveva lucidamente descritto e che oggi sembra essersi complessivamente radicalizzato - gli eccessi di sovranità cognitiva degli individui rispetto a rischi appaiono capaci di dar luogo ad un insieme di conseguenze socialmente problematiche. Non mancano infatti gli esempi di La prima è che senza dubbio, si sono radicalizzati i fenomeni di politicizzazione del rischio, che sempre più spesso danno luogo a conflitti sempre più rilevanti sia a livello micro che macro sociale . La seconda, che ne è la diretta conseguenza, è il fatto che gruppi minoritari e non legittimati democraticamente, anche in mancanza di qualsiasi evidenza “scientifica” che giustifichi la pretesa pericolosità di una possibile fonte di rischio e in forza di una interpretazione estensiva (ed ambigua) del principio di precauzione, possano intervenire direttamente nei processi politici, bypassando la mediazione democratica e alimentando (anche) fenomeni di discriminazione e di marginalizzazione di gruppi individuati come “a rischio”. La terza, più generale, è che le diverse interpretazioni dei rischi possano tradursi in un aumento generalizzato della conflittualità tra movimenti sociali, rappresentanze istituzionali, magistratura ed esponenti del mondo scientifico, talvolta con la conseguenza di legittimare istanze e rivendicazioni di natura pseudoscientifica o anti-scientifica.File | Dimensione | Formato | |
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